1
2
3
4
5
6
 
  
La storia di Giulio Cesare - parte 2

La storia di Giulio Cesare - parte 2

Nel 58 a.C Cesare decise di occuparsi dei popoli che premevano le frontiere a nord dell’Italia.

A quei tempi in Europa vivevano molte popolazioni che avevano dei nomi per noi un po’ bizzarri. Non c’erano francesi, tedeschi, svizzeri, polacchi o ungheresi, ma i popoli della Dacia con il loro re Burebista, i Germani di Ariovisto, gli Elvezi che vivevano nella Gallia, gli Edui e gli Allobrogi, per ricordarne alcuni. Questi popoli, per quanto vivessero sui loro territori avevano la tendenza a spostarsi e ad allargare i loro confini, cosa che preoccupava non poco i romani, che comunque condividevano con gli altri il desiderio di espandersi nei territori altrui.

Così Giulio alla fine di marzo lasciò Roma e raggiunse la Gallia e il fiume Rodano dove sconfisse gli Elvezi nella battaglia di Bibracte; subito dopo affrontò anche i Germani che furono duramente sconfitti; ma non si fermò qui: affrontò i Belgi, sconfiggendoli e si diresse a nord, in Bretagna dove ingaggiò l’ennesimo scontro con il popolo dei Veneti, che capitolò. A questo punto di fronte al generale si stendeva il canale della Manica e oltre la misteriosa isola, la Britannia. Giulio decise di conquistarla, e ci riuscì.

Tutti questi successi però mostravano una crepa chiamata Gallia, che ancora non era completamente sottomessa e molte popolazioni si ribellavano al potere di Roma. Giulio, grazie alla sua intelligenza strategica e all’avanzata ingegneria militare dei romani, riuscì a sconfiggere tutti gli oppositori di Roma: dopo 8 anni di campagne militari, Roma si trovava a controllare un territorio immenso, la Gallia fu dichiarata provincia di Roma e nel 49 a.C. le legioni poterono tornare in Italia, dove Cesare fu acclamato come un eroe da tutto il popolo.

Ma Giulio era rimasto lontano da Roma per troppo tempo e quando decise di tornarvi seppe che molti suoi amici non sarebbero stati più tanto felici di rivederlo. A questo punto Giulio si arrabbiò molto e decise di fare una cosa che era vietatissima: entrare in Italia a capo di un esercito. A quel tempo il confine dell’Italia era stabilito dal corso del fiume Rubicone, che si trova nell’attuale provincia di Forlì-Cesena, e chi lo attraversava con delle legioni veniva dichiarato nemico di Roma e quindi doveva essere sconfitto. Così Giulio si trovò a dover combattere con il suo vecchio amico, il generale Pompeo (uno dei triumviri).
Giulio inizia a dare la caccia a Pompeo e ai suoi alleati per tutto il mar Mediterraneo: va in Egitto prima, dove conosce la bellissima regina Cleopatra, poi è nel Ponto, ritorna in Africa e infine va in Spagna dove sconfigge le ultime armate di Pompeo. Anche questa volta sta lontano da Roma per molto tempo, per ben 4 anni.
Quando Giulio rientrò a Roma nel 49 a.C. era l’uomo più potente della città e fu nominato dictator e imperator. Vicino alle statue degli antichi re ne furono erette altre con le sue sembianze e quando andava in Senato si sedeva su un trono tutto d’oro.

Cesare fu l’uomo più potente di Roma fino al 14 febbraio 44 a. C. , il giorno delle Idi di Marzo. Proprio il 14 febbraio Cesare doveva essere eletto re dal Senato, ma i suoi avversari politici non potevano tollerare che Roma diventasse una monarchia e che a capo di questa sedesse Giulio. Così, già da tempo, i suoi avversari avevano cercato il modo per ucciderlo: sarebbe stato accoltellato in Senato, il giorno delle Idi di Marzo.

Si dice che prima dell’assassinio furono molti i presagi funesti: strani rumori notturni, fuochi celesti, cavalli piangenti, incubi notturni. Quel giorno poi, la moglie di Cesare Calpurnia pregò il marito di restare in casa, durante il tragitto verso il Senato Giulio fu avvicinato da un indovino e da un aruspice che lo misero in guardia dal pericolo, ma niente: Cesare si recò in Senato. E quando si fu seduto, i congiurati, che lui considerava amici, lo circondarono e lo trafissero con 23 coltellate. Si dice che prima di morire Giulio pronunciò la frase “Quoque tu, Brute, fili mi!”, “Anche tu Bruto, figlio mio”, indirizzato a Marco Giunio Bruto, che non era su figlio, ma una persona a cui Cesare voleva molto bene.